Galliano Gigli. Nelle cose che amava vivrà il suo ricordo

galltondo

Lo rivedo ancora gridar, desolato e pallido venendo su di corsa dal Casato: "Fermi tutti, ragazzi ha vinto la Chiocciola! Fermi! Fermi!". Chi aveva in mano la bandiera e si apprestava a farsi incontro al drappellone, la lasciò cadere e via delle Murella fu come per incanto pavimentata di giallo e celeste. Era il "49. Allora disguidi del genere potevano accadere. Il sistema delle comunicazioni era molto rudimentale, fatto di accenni, gesti e voci, esposto a fraintesi o abbagli. Calò un silenzio gelido. Nella mia fantasia di ragazzo - avevo dieci anni ed ero affacciato alla finestra di casa che dava sulla via ribattezzata Tommaso Pendola - la scena si lega a quella della "Bella addormentata nel bosco", quando i personaggi del castello ed ogni elemento di vita ammuto­liscono e diventano pietra.

Appena dopo, nel veder tutte le bandiere a strascico per le pietre, colui che aveva ordinato l'alt con un urlo strozzato urlò perentorio: "Riponete le bandiere, senno si sciupano! Per bene, per carità! Per bene!". La prima immagine che conservo e conserverò sempre di Galliano Gigli è questa. L'ho spesso richiamata alla mente in questi lunghi anni, per lui sofferente, e mi son detto: c'è già tutto Galliano. C'è la sua paterna ed esigente autorità, a cui non si poteva opporre rifiuto. Era uno di quegli uomini che hanno il do­no di farsi ascoltare perchè pos­siedono una sorta di carisma fa­miliare e amabile, avvolgente e umanissimo. E' una qualità, a ben vedere, che non s'identifica con gerarchie o ruoli consacrati. Galliano ha prediletto la fatica dei lavori umili, l'ardore delle passioni vere, e dei talenti che aveva a disposizione ha ricavato solo ciò che più conta: l'affetto di chi gli stava intorno, la stima della Contrada, l'ammirazione dei giovani, il rispetto non timoroso.

gallianoC'è anche, in quell'immagine che ritrovo, l'attaccamento alle cose, che egli ha insegnato come virtù fondamentale. Quando si smaniava per i braccialetti deteriorati o insisteva per la cura dei costumi o si aggirava per i locali a rovistare, pulire, mettere in ordine, Galliano incarnava uno dei tratti essenziali dell'anima che sorregge l'appartenenza della Contrada: quel ritenere - un po' folle, spasmodico e irragionevole - che la memoria ed il senso di identità comunitaria siano affidati agli oggetti, agli emblemi, alle figura, alle stoffe, alle pietre, ai mattoni, alle lastre. Insomma che siano materiali e risorgano per magia scaturendo da quella materialità, a suo modo sacra, inviolabile. C'era, poi, in quei gesti convulsi e disperati per un Palio non vinto ("Bazza a chi tocca!") la vena drammatizzante di Galliano. Però le sue invettive non perdevano mai il filo della razionalità, nè inducevano allo sconforto. Quest'uomo segaligno e tutt'ossi aveva dentro un'energia incredibile, ed una cordialità misurata, ereditata dall'olimpica e severa signora Emma. Si spiega facilmente perchè il complimento più bello Galliano l'abbia avuto da un bambino, cui chiesero che voleva fa­re da grande in Tartuca. E lui rispose: "Galliano". Voleva dire, senza saperlo, che il giornalaio di via San Pietro, l'economo per antonomasia della Tartuca era un uomo-istituzione. Sono gli uomini con il loro servizio e la loro integrità a fare la dignità delle istituzioni, quando la stoffa c'è e quando c'è il cuore.

Per lui la Tartuca fu fino all'ultimo un amore totale, talmente pervasivo ch'è riuscito a combinarlo con quello per la famiglia, per la moglie, per i figli, per i nipoti, per Silvio, senza intaccarlo: ed è un miracolo che riesce a pochi. Quando si seppe che si sposava non sembrò vero. Quasi si avesse di botto la notizia che un trappista metteva su casa. Era impossibile scinderlo da Castelsenio, dall'armeggio continuo intorno alle monture, dai ricordi che riproponeva non cedendo a indugianti nostalgie. Glielo scrissero in un numero unico. Cito a memoria: a Galliano le bionde e le more strizzan l'occhio da tutti i giornali, lui sorride e l'amor lo va a fare nei nostri locali. Nel­ le cadenze di uno di quegli stor­nelli ad personam che nessuno sa più fare, si rintraccia un altro degli elementi che costituiranno la figura di Galliano: la sua identificazione totale, amorosa appunto, con la Contrada e con la sua fisicità: con i suoi spazi, i quadri e con i suoi riti, consue­tudini, calendario.

Lui era stato un tambu­rino perfetto, proverbiale, uno degli eroi di una comparsa leg­gendaria. Era come se un cantante di enorme successo fosse diventa­to, con gli anni, sovrintendente. Conosceva tutti galliano1i trucchi del me­stiere, i dettagli minimi e i figuranti che dovevano sfilare "nel Campo dell'onor" li metteva in scena su una ribalta. La sua bottega inevitabilmente si tramutò nel centro di relazioni, di informazioni, di incontri della Contrada. Lui stava dietro il banco colmo di giornali, al pari di un ospite disponibile e cortese in attesa. La sua libreria, e poi edicola, fu davvero una bottega come più non esistono, un centro di colloqui e di scambi in cui il comprare e il vendere diventavano un rapporto civile. La sosta era obbligata. Galliano dava le ultime notizie - altrochè i giornali disposti in fila! - la Tartuca e il Palio avevano un posto privilegiato nel periodico orale e quotidiano che si parlava da Galliano. Tutto passava al vaglio della critica, della battuta salace, del com­mento sornione. Era un club, si direbbe oggi, con i soci che non rinunciavano a trattenersi e chiacchierare. A ripensarla quel­la bottega non ampia e non parti­colarmente luminosa pare un tea­trino: rivedo il professor Dalmas con il bocchino sempre fumante, risento la risata del Pallassini, il borbottio del Merlotti.

E di tanto in tanto l'esplosione allegra di Mauro Barni, la parola severa di Giulio Pepi, la sorridente saggezza di Enzo Carli, che tra Pinacoteca e Galliano faceva ogni giorno la spola per prendere i giornali e tornare subito al lavoro. A suo modo quello spazio che sopravvive nella nostra mente, fu una scuola, con i segni di uno stile inconfondibilmente senese: il gusto della battuta secca e fulminea, il divertimento a parlare del mondo stando in un osservatorio appartato con un mi­sto di diffidenza e ironia.

E' sembrato un destino che l'ultima sosta di Galliano l'abbia dovuta fare non nell'Ora­torio, ma nei locali del museo diventati Oratorio. Era il suo luogo più caro. Il volto rimandava la serenità di un tempo. Gli hanno detto commossi addio tutti i suoi ragazzi, i ragazzi di ogni età. Lo hanno vegliato, amorose come lui era stato con loro, le cose della Tartuca, i drappelloni, i velluti, i braccialetti, quegli strani aggeggi che mille volte ha restaurato con Vittorio Pacchiani. Erano, sono le cose cui ha dedicato tanto di sè ed ha forse loro affidato il desiderio di restare qui per sempre. La sua lezione più alta fu ed è questa. In quanto egli ha più amato, si allungherà, oltre gli anni, l'ombra della sua presenza.

Roberto Barzanti (da Murella Cronache)

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