Il Risorgimento della Tartuca

Se c’è una Contrada profondamente segnata dal Risorgimento è proprio la Tartuca.
La storia dei suoi colori si intreccia infatti con quella dell’Unità d’Italia.

di Giordano Bruno Barbarulli

Siena dopo Napoleone

Il Congresso di Vienna del 1815 aveva stabilito l’assetto della penisola dopo la caduta dell’Impero Napoleonico. L’Italia era così suddivisa: al nord il Regno di Sardegna (Piemonte, Liguria, Sardegna) con i Savoia, il Regno Lombardo-Veneto di dominio austriaco ed i Ducati di Modena e Parma, al sud il Regno di Napoli e delle due Sicilie sul quale dominavano i Borboni, al centro lo Stato della Chiesa (Romagna, Marche, Umbria, Lazio) ed il Granducato di Toscana che dopo i francesi era tornato agli Asburgo-Lorena appoggiati dall’Austria. La sua Capitale era Firenze ed ovviamente Siena faceva parte del Granducato.
Ma la Rivoluzione Francese, al motto di “Libertè, Egalitè, Fraternitè”, aveva lasciato nella testa dei popoli della penisola segni indelebili di un nuovo anelito di libertà; nel ’20 e nel ’21 erano scoppiati qua e là in Italia i moti insurrezionali della Carboneria, che però erano rapidamente falliti. Nel 1831 Giuseppe Mazzini, proseguendo nel suo impegno indipendentista fondò una nuova organizzazione anti-austriaca chiamata Giovane Italia.
Benché il desiderio di una unità nazionale fosse ormai esteso a quasi tutta la penisola, la popolazione toscana non si trovava poi tanto male sotto il governo dei Lorena e all’inizio trascurò abbastanza quello che di nuovo succedeva nella penisola.
Siena era una città di circa 20.000 abitanti, tutta racchiusa nelle mura ed in stretta simbiosi con la campagna intorno. La popolazione era piuttosto povera e poco scolarizzata; prevaleva l’artigianato, il commercio al minuto e la piccola agricoltura. La Nobiltà che per tutto il ’700 aveva vissuto nel lusso con feste, festini, spettacoli teatrali e grandi cortei del Palio in onore dei Sovrani in visita, era stata ridimensionata dal dominio francese durato 15 anni. A metà ’800 in Siena avevano ancora un forte peso una aristocrazia privilegiata e il clero, ma sulla scena politica e culturale si affacciavano in buon numero anche intellettuali benestanti.  
I senesi non avevano mai amato i francesi, anche perché i francesi non amavano né la Nobiltà, né le Contrade e il Palio. Appena arrivati, alla fine del ‘700, avevano persino intentato un processo contro i Capitani delle Contrade accusati di attività politica antifrancese. I senesi furono perciò contenti del ritorno degli Asburgo-Lorena dopo il Congresso di Vienna. Si ricordavano del buon governo di Pietro Leopoldo, delle sue riforme e del buon conto in cui aveva tenuto le Contrade.
Tornati i Lorena nel 1815 Siena fece così festa a Ferdinando III e poi al figlio Leopoldo II che gli successe. I senesi ripresero dunque le loro feste e i cortei per il Palio, seppur con minor lusso di prima, non preoccupandosi troppo della situazione generale dell’Italia. Comunque anche a Siena nel ’32 fu fondata una piccola società segreta affiliata alla Giovane Italia che come le altre fu subito scoperta e i cui componenti vennero arrestati. Sostanzialmente fu una congiura riformista d’elite, voluta da alcuni universitari ed intellettuali, e poco dovuta al popolo.
Già in quel periodo comunque l’Oca, per i suoi tre colori che erano stati assunti dal Mazzini come simbolo risorgimentale, non era ben vista dalle autorità.

La Tartuca e il Granducato

La Tartuca, più di altre Contrade aveva fatto festa per il ritorno di Ferdinando III. Erano stati portati a termine importanti lavori nell’Oratorio, che finalmente era stato consacrato e arricchito con il maestoso Altare delle Quarantore. Sul versante del Palio le vittorie erano poco frequenti e per quanto riguarda la Chiocciola l’aggregazione nata alla fine del ’600, che era stata già sospesa dalle autorità dal 1814 al 1820, era ormai diventata una vera e propria rivalità, benché l’alleanza fosse ancora formalmente in piedi. Fra le due Contrade c’erano spesso risse per il Palio, fino al punto che in una di queste, nel 1840, un chiocciolino era morto per sbaglio, ammazzato da un altro chiocciolino.
L’altro aspetto da sottolineare della Tartuca di quel periodo è quello dei colori. Già dalla fine del ’700 si era aperta una discussione in Contrada, perché si pensava di cambiare i colori per ragioni estetiche. Sembravano troppo scuri ed era stato già aggiunto un poco di celeste a costumi e bandiere che divennero così meno tetri. Intorno al 1845 i primi sentimenti risorgimentali fecero sì che la Tartuca (come del resto l’Aquila) al suo ingresso in Piazza fosse fischiata da una parte della popolazione per i suoi colori che ricordavano l’Austria. La ricerca di nuovi colori diventò così più pressante ed in qualche occasione si tentò anche di aggiungere del rosso e del bianco alle bandiere togliendo il nero, ma nulla andò in porto.

La prima guerra per l’indipendenza italiana

Nel 1846 Giovanni Maria Mastai Ferretti venne eletto Papa con il nome di Pio IX. Era un uomo di idee abbastanza liberali e su pressione popolare nel ’47 concesse nello Stato della Chiesa la libertà di stampa ed altre riforme, imitato l’anno dopo da Carlo Alberto di Savoia in Piemonte. Anche Leopoldo II nel Granducato di Toscana (e quindi anche a Siena), mostrando una certa autonomia rispetto all’Austria concesse delle riforme liberali importanti quali l’amnistia politica, seguita poi dalla formazione di una Guardia Civica (era composta da cittadini) e di una Guardia Universitaria, dalla concessione della Costituzione ed infine dall’uso del Tricolore.
Papa Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo II vennero perciò visti come gli emblemi delle nuove idee liberali e riformatrici e come simboli del processo unitario della penisola.
Alla fine del 1848 i moti rivoluzionari scoppiati in Francia, a Vienna, a Milano e a Venezia convinsero Carlo Alberto a dichiarare guerra all’Austria. A quel punto il Granducato di Toscana aderì immediatamente alla guerra. Dopo la battaglia di Curtatone e Montanara e la vittoria di Goito, Carlo Alberto fu sconfitto a Custoza, la Prima Guerra d’Indipendenza fu sospesa e venne firmato un armistizio. Nel ’49 la guerra riprese, ma Carlo Alberto, sconfitto di nuovo e definitivamente, questa volta a Novara, cedette il trono al figlio Vittorio Emanuele. La guerra fu dunque persa e l’Austria tornò a dominare nel Lombardo-Veneto, in Toscana e a Siena.

Siena durante la guerra

Per quanto città sonnacchiona ed anche in larga parte filo-lorenese, nella prima metà del ’47, prima dello scoppio della guerra, a Siena c’era stato un gran fermento. Ai primi di luglio alcuni studenti liberali che dopo cena cantavano inni patriottici si erano scontrati con i carabinieri e alla Lizza era stato ferito lo studente Lodovico Petronici che alcuni giorni dopo morì all’ospedale. I cittadini senesi rimasero profondamente colpiti e commossi dall’evento, fino al punto di agitarsi contro il Governo ritenuto responsabile dell’accaduto. A settembre ci fu nuova confusione in città per l’aumento del prezzo del pane e vennero assaltati anche tre forni. Pochi giorni dopo, la festa per l’istituzione della Guardia Civica celebrata in Piazza del Campo servì a pacificare la popolazione senese ormai divisa in due: una parte di idee decisamente risorgimentali ed anti-austriache ed un’altra moderata, a cui in quel momento Leopoldo II e il Papa, insieme a Carlo Alberto, apparivano come i fautori della nuova Patria unita, grazie alle loro concessioni liberali.
Quando nel 1848 il Piemonte dichiarò guerra all’Austria Leopoldo II, per le pressioni democratiche, aderì al conflitto a fianco di Carlo Alberto ed un gruppo di studenti universitari senesi si arruolarono volontari nell’esercito piemontese. Alcuni di loro morirono nelle battaglie di Curtatone e Montanara, come ricorda ancora oggi il monumento nel cortile del Rettorato dell’Università. Siena in lutto sospese il Palio di luglio devolvendo il premio di 420 Lire della Contrada vincitrice alle famiglie dei militari in guerra. Il Palio d’agosto venne invece corso regolarmente, seppure anticipato al giorno 15, e lo vinse l’Onda.
Alla fine del ’48 nell’Oca, che per il tricolore era applaudita da parte della popolazione, si formerà persino un circolo politico, mentre Tartuca e Aquila erano sempre fischiate per i loro colori ed i loro emblemi.
Al momento dell’armistizio che interruppe temporaneamente la guerra Leopoldo II acconsentì alla formazione di un governo democratico e rifugiò la famiglia proprio a Siena, città ancora molto a suo favore, dove era ben visto e dove si sentiva più al sicuro. Ma ai primi del ’49, nell’incertezza dell’esito della guerra che di lì a poco riprese, il Granduca abbandonò la Toscana e in Piazza del Campo venne temporaneamente innalzato “l’albero della libertà”.
Alla fine della guerra con la sconfitta di Novara e la vittoria austriaca sia i toscani liberal-moderati che quelli di idee più patriottiche, ambedue d’accordo di evitare il diretto dominio austriaco, tentarono di salvare il regime costituzionale puntando proprio sul rientro in Toscana di Leopoldo II. Ma il 20 luglio 1849 i soldati austriaci entrarono in città e subito dopo il Granduca, con la protezione dell’Austria, fu di nuovo a Siena con il preciso mandato di fermare per lungo tempo il processo di innovazione e di unificazione dell’Italia che con la fine della Prima Guerra d’Indipendenza subì dunque un arresto. Iniziò così il periodo della Restaurazione.
A Siena nel mese di ottobre, dopo che i due Palii erano stati regolarmente corsi (vinti rispettivamente dal Montone e ancora dall’Onda), Leopoldo II inaugurò la nuova ferrovia (un progetto di grande utilità per la città che giunse a compimento dopo alcuni anni di lavoro) con una grande festa cittadina e con un Palio straordinario, a recupero di quello soppresso nel ’48, che venne corso il 21 ottobre. Come fosse un ultimo rigurgito risorgimentale vinse proprio l’Oca tricolore, a scapito della Tartuca e dell’Aquila che erano le Contrade favorite.

 

La Tartuca papalina

Proprio nel 1847 la Tartuca attraversava un momento di grande tensione, sia per ragioni interne che per il problema dei colori. In Contrada convivevano due sentimenti politici contrapposti poiché, oltre ai moderati che erano in maggioranza, vi erano anche quelli favorevoli ad un movimento risorgimentale autonomo, come per esempio Giuseppe Baldini detto Ciaramella che sarà anni dopo uno dei Colonnelli della spedizione dei Mille e che Giuseppe Garibaldi volle poi incontrare nella sua visita senese del 1867, come ricorda una lapide di Via dei Termini. Questa contrapposizione creava frequenti discussioni all’interno della Contrada. Era persino stata nominata una Deputazione costituita da ”uomini saggi” per vigilare sui rapporti fra i contradaioli. Poiché i cittadini senesi filo-lorena erano detti codini, per estensione fu attribuito in quel periodo lo stesso epiteto anche ai tartuchini.
Durante il Palio d’agosto un’altra rissa fra Tartuca e Chiocciola all’Arco di S. Agostino si aggiunse alla morte dello studente Petronici e alle successive agitazioni di settembre per il pane. Poiché in città si era creato un forte clima anti-austriaco e contemporaneamente anti-Tartuca, per la festa della Guardia Civica fu sconsigliato alla Contrada di presentarsi con la bandiera gialla e nera, così come all’Aquila di usare il suo emblema di animale bicipite. Quindi per evitare i fischi di una parte della popolazione la Tartuca decise di cambiare i colori della bandiera in giallo e bianco, in onore di Papa Pio IX; il nuovo vessillo venne detto bandiera-Mastai. L’Aquila invece sostituì il suo animale con un castello sormontato da due chiavi. 
Se la festa per la Guardia Civica fu momento di pace per la popolazione, non lo fu invece per Tartuca e Chiocciola. Il cambio colori non piacque ai chiocciolini che, rivolgendosi al Governo, accusarono i tartuchini di opportunismo politico. Il clima di tensione fra le due Contrade molto cresciuto, ed anche la necessità di dare in quel momento un segnale di pace alla città, indussero le autorità a forzare Tartuca e Chiocciola ad una plateale e pubblica pace. Fu la famosa pace del 1847, fatta con pranzi, discorsi ufficiali, cerimonie religiose ed un libretto di poesie, alla quale partecipò anche Padre Pendola. La pace fu molto celebrata, ma come ben sappiamo fu una pace fasulla.
I nuovi colori giallo e bianco attenuarono momentaneamente le polemiche, ma durarono poco, cioè solo per il 1848 perché già a metà del ’49, con la vittoria austriaca, la Tartuca, dopo molte discussioni interne nelle quali prevalse la “corrente storica”, decise di tornare gialla e nera allineandosi alla Restaurazione. Le Autorità, contente della scelta fatta, autorizzarono il ritorno ai vecchi colori, ma le polemiche con la Chiocciola ricominciarono e con esse ricominciarono anche i fischi di larga parte della cittadinanza.

La Restaurazione

Nei dieci anni seguenti ci fu una forte repressione in tutta la penisola. In Toscana Leopoldo II soppresse lo Statuto e limitò la libertà di stampa perdendo il favore anche dei suoi tradizionali sostenitori. Il sentimento anti-austriaco però cresceva ancora e l’idea di una unità nazionale diveniva sempre più inarrestabile.
Durante la Restaurazione dal ’49 al ’58 anche a Siena, come in tutta Italia, repubblicani, mazziniani e studenti continuavano a cospirare, a tenere riunioni segrete e a provocare disordini, mentre le autorità attuarono per dieci anni misure repressive, processi ed arresti di esponenti della corrente politica liberale, che coinvolsero fra l’altro anche cinque Capitani di Contrada che avevano idee risorgimentali. All’Oca fu imposto di sostituire il rosso con il rosa per attenuare il simbolo risorgimentale.
Come è noto in quel periodo i costumi delle Contrade, per motivi ancora in parte da indagare bene, ebbero per pochi anni la foggia delle divise militari piemontesi. E come noto quelli della Tartuca furono ancora costumi gialli e neri e quindi fischiati (di quei costumi però resta oggi solo un bozzetto conservato in Archivio Comunale).
Per la Tartuca, dal 1850 in poi, la situazione cambiò ben poco, casomai peggiorò. Aumentarono i fischi della popolazione verso i colori giallo e nero ed aumentarono anche le discussioni interne. La Contrada andò in crisi e non si trovava più nessuno disposto a fare il Priore, il Capitano e neppure a vestirsi in comparsa. Furono per la Tartuca anni molto duri: la Chiocciola sobillava contro di noi anche le altre Contrade, i dirigenti tartuchini si lamentavano, ma le Autorità non prendevano in seria considerazione il problema, o meglio lasciavano che le cose andassero in quel modo. Alla fine, nel 1857, i dirigenti esasperati dalla situazione minacciarono di “portare le chiavi in Comune”, di non partecipare alla processione Domenica in Albis e di non correre neppure il Palio.In realtà fu solo una minaccia, perché la Tartuca non vinceva dal 1843, mentre la Chiocciola aveva fatto cappotto nel ’50 e rivinto nel ’53 e nel ’55; quindi era opportuno correre. Proprio a luglio del 1857 la Chiocciola rivinse a scapito della Tartuca, che fece ancora le spese dei colori austriaci, e come conseguenza ci furono altre lunghe discussioni fra i contradaioli che portarono alle dimissioni di vari dirigenti.
L’anno dopo, nel maggio del ’58, trovati nuovi dirigenti, una coraggiosa Assemblea decise alla fine che la Tartuca avrebbe cambiato i colori da giallo e nero a giallo e celeste. I chiocciolini protestarono nuovamente e chiesero l’intervento delle autorità, mentre anche i tartuchini protestavano per i fischi ricevuti, ma le autorità non presero posizione. Per il palio di luglio la Contrada non venne estratta a sorte e fu favorita la vittoria dell’Oca tricolore; ad agosto alla fine il fantino della Tartuca corse con i nuovi colori, ma vinse un’altra volta la Chiocciola.
La situazione era ormai divenuta insostenibile. L’unica nota positiva fu un aiuto indiretto del Comune per i nuovi colori che ancora non erano ufficialmente riconosciuti. Da tempo si pensava infatti a nuovi costumi storici per le Contrade perché i vecchi erano logori e quelli militari non andavano troppo bene. Alla fine del 1858 il Comune stabilì (Delibera del 15 dicembre) la foggia rinascimentale che avrebbero avuto quelli futuri. I nuovi costumi in realtà sarebbero stati fatti alcuni anni più tardi, ma intanto nella Delibera si accettavano i nuovi colori della Tartuca.

 

La Seconda Guerra d’Indipendenza

Nel frattempo Vittorio Emanuele II aveva chiamato al governo Camillo Benso di Cavour che nell’aprile del ’59, alleandosi con la Francia, aprì la Seconda Guerra d’Indipendenza contro l’Austria. Allo scoppio della guerra Leopoldo II questa volta rifiutò l’alleanza del Granducato con il Piemonte e abdicò per un governo provvisorio guidato dal Ricasoli. Molti volontari senesi si arruolarono nell’esercito piemontese.
Per la Festa Titolare la Tartuca, per dimostrare i propri intenti risorgimentali e ridurre i fischi per i colori che ufficialmente erano ancora il giallo e nero, versò dei soldi a favore dei soldati in guerra e per prima si espresse a favore della sospensione dei due Palii. Infatti a Siena a causa della guerra i Pali del 1859 non furono corsi.
La guerra iniziò con alcune vittorie franco-sarde sugli austriaci e a giugno ci fu quella definitiva di Solferino che pose rapidamente fine al conflitto. Venne sottoscritto l’Armistizio di Villafranca che fu seguito da complicate trattative fra i vari stati per il nuovo assetto della penisola. Per la Toscana c’era l’ipotesi del ritorno dei Lorena, ma l’abile e diplomatico Bettino Ricasoli proseguì il suo impegno unitario opponendosi al loro ritorno (fu detto il Barone di ferro). A marzo del 1860 la Toscana, come la Lombardia e l’Emilia-Romagna, con un clamoroso plebiscito esteso ai cittadini maschi di tutti i ceti (le donne allora non votavano) decise di annettersi al Piemonte.
A guerra finita, il 27 aprile del 1860 Vittorio Emanuele II era in visita a Siena e fu corso un Palio straordinario che vinse l’Onda. Per questo Palio straordinario e poi anche per il Corpus Domini, la Tartuca venne nuovamente fischiata perché i costumi nuovi non c’erano e le sue insegne erano ancora gialle e nere.
Poco dopo, il 5 maggio, partì da Quarto la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi che in quattro mesi conquistò tutto il sud-Italia, le Marche, l’Umbria e lo Stato della Chiesa. Nell’incontro di Teano del 26 ottobre Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele tutto il Mezzogiorno.
Infine il 17 marzo 1861 a Torino Vittorio Emanuele II venne proclamato Re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della Nazione”. L’unità non era però completa perché il Veneto si aggiungerà cinque anni dopo e Roma nel 1870 con la “breccia di Porta Pia”. Il 2 giugno 1861 in tutte le città fu celebrata la prima Festa Nazionale dello Statuto. 
La Sala del Risorgimento del Palazzo Pubblico, affrescata nella seconda metà dell’Ottocento dai pittori senesi Aldi, Cassioli e  Maccari, coordinati da Luigi Mussini, voluta del sindaco di allora Luciano Banchi, tartuchino, celebra appunto le gesta risorgimentali.

Il Risorgimento della Tartuca

Dopo i fischi del Palio straordinario del ‘60 i dirigenti tartuchini protestarono fortemente con le Autorità, ma ancora inascoltati e disperati dettero di nuovo le dimissioni. La Contrada fu affidata a tre Reggitori: Banchi, Vannini e Porciani, il più importante dei quali fu Luciano Banchi, successivamente anche Sindaco di Siena. Dato il permanere della situazione a un certo punto l’Assemblea Generale prese la grave e dura decisione di chiedere al Comune di non partecipare ai due Palii che sarebbero stati corsi in quell’anno.  
E così nel 1860 la Tartuca non corse mai: vinsero rispettivamente il Leocorno e l’Istrice.
Finalmente nel 1861 il clima era già più sereno, sia perché l’Unità d’Italia era stata ormai dichiarata il 17 di marzo, sia perché l’acredine verso i colori austriaci tendeva a calare. La Tartuca, sempre guidata dai tre Reggitori, nominò allora uno di essi Capitano, il Porciani, e chiese al Comune di poter partecipare nuovamente al Palio.
A Siena la festa dello Statuto del 2 giugno 1861 fu organizzata alla Lizza e dopo fu corso il Palio anticipando quello di luglio (con l’idea di spostarlo a questa data per sempre, cosa che poi non avvenne perché i senesi decisero che il Palio era Palio e la festa dello Statuto un’altra cosa).
In una città imbandierata a festa con il rosso, il bianco e il verde, la cosa più banale che potesse accadere era la vittoria dell’Oca e così fu. Vinse (o si volle che vincesse) proprio il tricolore di Fontebranda a suggello dell’Unità d’Italia fra il tripudio della popolazione. La Tartuca per quel Palio non era stata estratta a sorte. Ci fu poi il consueto Palio d’agosto e la Tartuca finalmente uscì. Dall’aprile dell’anno precedente la Contrada non aveva corso per ben tre volte e non vinceva da diciotto anni. Per l’occasione oltre al giubbetto del fantino fu cucita la prima bandiera gialla e celeste.

Il 16 agosto 1861 la Tartuca, dopo lungo digiuno, vinse il Palio con un cavallo storno montato da Bachicche. Ma fu una vittoria sofferta, pagata cara e che risentiva ancora della vecchia immagine gialla e nera. La cronaca della corsa e del dopo-corsa riportata dallo Zazzeroni ha toni quasi drammatici.
La Tartuca era riuscita a comprare tutti gli altri fantini. Alla mossa andarono solo in otto e Bachicche fu fatto scappare primo. Tutti lo lasciarono vincere, eccetto la Lupa. Il fantino della Chiocciola fece solo due giri, si fermò, fece finta di afferrare la Tartuca, ma la lasciò passare: finita la corsa venne arrestato. All’arrivo la gente in Piazza fece una fogata al fantino della Tartuca e protestò contro il Mossiere, mentre neppure le Contrade alleate spiegarono le bandiere alla vittoria della consorella.
Vista la malaparata e per le presunte irregolarità il drappellone fu portato in Comune e venne assegnato ai dirigenti tartuchini soltanto il giorno dopo, nonostante il parere contrario degli altri Capitani che volevano ricorrere il Palio. Il Magistrato Civico aveva comunque deciso che aveva vinto la Tartuca, ma per paura delle proteste i tartuchini non fecero il consueto giro della Vittoria in città.
Dunque 150 anni fa, il 1861 - anno dell’Unità d’Italia - vide trionfare due Contrade: prima l’Oca con il tricolore, la bandiera più amata dagli Italiani, e poi la Tartuca, la meno amata dai senesi, nonostante avesse già cambiato i suoi colori.
Il clima anti-Tartuca non era ancora finito del tutto, ma per la prima volta aveva vinto il giallo e celeste. Per la Contrada sarebbe cominciata un’altra storia. Dopo un lungo e difficile periodo, travagliato da problemi esterni ed interni, la Tartuca era risorta ed aveva ritrovato la propria unità.
Come l’Italia.

Società M. S. Castelsenio 18 marzo 2011
Appunti per il 150° dell’Unità d’Italia

I colori, una storia travagliata

Il primo documento che attesta i colori della nostra Contrada è la famosa relazione manoscritta di Cecchino Cartaio sulla caccia ai tori del 15 agosto 1546. Più precisamente una sua ristampa del 1582 nella quale fu aggiunta la descrizione della compagine della Tartuca che non figurava nell'originale non avendo la Contrada partecipato a quella caccia:


..L'insegna loro era gialla e negra ed era portata da Bernardino di Cornovaglia, vestito tutto di velluto negro pieno di rosette d'oro con molta bella
vista... e gli seguiva la Macchina della Tartuca fatta molto al naturale.

Anche nel secolo successivo e per buona parte del Settecento i colori rimasero gli stessi ed i tartuchini vollero usare i colori della Contrada persino per le rifiniture del nuovo Oratorio dedicato a S. Antonio di Padova ed edificato a loro spese in Via delle Murella. La Chiesa, solennemente benedetta il 7 settembre 1685 dall'Arcivescovo Marsili, non aveva però ancora l'altare maggiore che fu pronto solo alla fine dell'anno, insieme agli stucchi di decoro . di terra permeata gialla e nera alludendo l'impresa di nostra Contrada.

Nel Palio ovviamente i fantini della Tartuca correvano con un giubbetto nero e giallo, come dimostra il documento del 30 giugno 1701 con il quale il Comune di Siena verbalizzò i colori del vestiario indossato. La spesa di 64 lire sostenuta dalla Contrada subito dopo quella Carriera per del taffetà giallo e nero conferma che anche la bandiera aveva ancora questi colori. Il tipo di vestiario che i fantini dovevano indossare nella corsa fu meglio precisato alcuni anni dopo da una disposizione della Biccherna con la quale si stabiliva che i fantini abbino nella schiena l'impresa visibile della Contrada, nel nostro caso una tartaruga. Un altro editto, emanato in occasione del Palio del 2 luglio 1714 e vinto proprio dalla Tartuca, fu l'occasione per definire puntualmente i colori delle divise indossate nella corsa dalle diciassette Contrade. La nostra fu dunque sempre gialla e nera in parti uguali, anche se talvolta è riportata la fantasiosa notizia che dal 1714 al 1716 la Tartuca abbia adottato i colori giallo e rosso.

Al corteo che precedette il Palio del 2 luglio 1717, corso in onore della nuova Governatrice Principessa Violante di Baviera giunta a Siena il 12 aprile, la Tartuca si presentò, come altre cinque delle dieci Contrade che dovevano correre, con un magnifico carro trionfale. L'erudito Giuseppe Maria Torrenti in una sua opera manoscritta annotò quegli eventi e riportò per la Tartuca: .La Contrada della Tartuca usa per sua Impresa una Tartuca in campo a liste gialle e nere e narrando poi del carro tartuchino scrisse che era preceduto da trenta due Pedoni vestiti di giallo e nero a rabeschi, divisa della loro Contrada. Ed ancora per il Palio dell'Assunta dell'anno seguente la Contrada mise in Campo 100 uomini vestiti di nero con galloni d'oro, ricevendo un premio per bella comparsa. Alcuni anni più tardi, in occasione del Palio straordinario corso il 2 Aprile 1739 per la venuta a Siena dei regnanti Francesco Stefano di Lorena e Maria Teresa d'Austria, vestì quaranta persone capitanate da Ottavio Tornesi: entrò in Piazza per settima con la sua gente vestita alla Moresca, sotto della loro insegna gialla e nera. Puntuale in tale occasione la descrizione di Giovanni Antonio Pecci:

"In settimo luogo la Tartuca, con 40 uomini tutti vestiti a mori, con girello giallo, penna in testa gialla e banda pure a traverso gialla, con arco e freccia in mano e con bandiera di simili colori, con tartuca in mezzo."

 Infine la "Nota de' cavalli" relativa al Palio del 5 luglio 1750 riporta: 

"N. IX. Contrada della Tartuca. Cavallo dorato scuro. Con Penne, testiera e Rosa di colore giallo e nero, e con Fantino a livrea de' medesimi colori e Tartuca coronata nelle spalle. "

I nuovi governanti, il Granduca Pietro Leopoldo e la moglie Maria Luisa, furono a Siena ai primi di maggio del 1767 e le Autorità organizzarono in loro onore un Palio straordinario. A fronte della spesa che le Contrade dovevano sostenere per una comparsa elegante c'era una modesta sovvenzione di 35 lire e l'imposizione che il Capitano di ciascuna di esse fosse una persona civile e pulita. In Tartuca la scelta cadde sul Nobile Antonio Pannellini e venne anche ipotizzato di cambiare i colori della nostra insegna, cioè del nero e giallo, che per essere questi colori oscuri e da fare con i medesimi poco bella comparsa. La decisione finale fu lasciata allo stesso Capitano il quale optò per invertire la quantità dei due colori. Il Palio fu corso il 14 maggio e la comparsa della Tartuca entrò per sesta in Piazza con una montura tutta gialla con le sole mostrine nere. I costumi delle Contrade che corsero il Palio, di foggia militare e quindi ben diversi da quelli degli anni precedenti, furono rappresentati in un acquarello conservato nell'Archivio di Stato di Siena. 

Un ritocco ai nostri colori era però ormai nell'aria, tanto che nel documento relativo al "Vestiario dei fantini" per il Palio d'Agosto del 1770 accanto ai colori giallo e nero si apprezza per la prima volta anche una nota di azzurro: TARTUCA - Spennacchiera nera e gialla Fantino a livrea dei medesimi colori con nastri turchini ed arme.Non è possibile stabilire per quali motivi accanto ai due colori sia stato deciso di inserire il turchino, ma probabilmente fu solo una questione estetica.

Verso la fine del secolo un'altra piccola ma significativa modifica fu apportata alla bandiera della Tartuca sostituendo le liste con gli scacchi, come annotò in occasione della Festa Titolare del 16 giugno 1792 Anton Francesco Bandini nel suo Diario Sanese:

"Uffizio alla Contrada della Tartuca con le aggregate Chiocciola, Torre e Selva. Ha per insegna una Tartuca e scacchi gialli e neri ed un poco di celeste."

Un altro elemento molto importante per definire la storia dei colori della nostra Contrada avrebbe dovuto essere la tabella esistente in Comune che finalmente raffigura il vestiario dei fantini per la corsa e che risale al 1830. Il fantino della Tartuca indossa qui una divisa di colore giallo e celeste, ma come vedremo questi colori la Contrada li assunse solo dopo la metà dell'Ottocento ed è quindi ovvio supporre che il fantino sia stato successivamente ridipinto, come del resto accadde a quello del Montone che, originariamente rosso e giallo, venne colorato di rosa. Una conferma che a quella data i colori della Tartuca erano ancora il giallo e nero ci perviene comunque dai Drappelloni del tempo che recano dipinte le bandiere delle Contrade partecipanti alla Carriera. La "bandierina" della Tartuca risulta sempre a liste dei due colori in parti uguali con una piccola banda celeste. Infine i disegni di Flaminio Rossi   , che furono in parte utilizzati anche per le incisioni che il Conte Antonio Hercolani inserì nella sua famosa pubblicazione sulle Contrade  , confermano il permanere dei colori della Tartuca nel giallo e nero  con qualche traccia di celeste fino alla metà del secolo XIX. 

E' noto che fin dall'inizio del periodo in cui si auspicava la "redenzione dell'Italia" la nostra Contrada, per i suoi colori che trascurando il poco celeste ricordavano la bandiera austriaca, veniva solennemente ed immancabilmente fischiata al suo ingresso in Piazza, così come avveniva per la Contrada dell'Aquila che aveva un emblema imperiale. L'Oca invece, simboleggiante l'italico tricolore, veniva sempre applaudita. A partire dagli anni '40 perciò la Tartuca cominciò a pensare di cambiare i propri colori per evitare il dileggio della popolazione senese che, a seguito dei primi impulsi risorgimentali, cominciava a non gradire il giallo e nero. A prova di ciò nel museo della nostra Contrada sono oggi conservati tre piccoli disegni di bandiere in stile quattrocento inseriti in modeste cornici dorate. Disegnate intorno al 1845 esse non sono più gialle e nere. Inoltre la loro araldica, che fa riferimento anche alle Compagnie Militari, è molto più complessa di quella delle bandiere usate nel gioco dall'Alfiere ed hanno una esplicita funzione di rappresentanza . I colori sono giallo, celeste, rosso e bianco. Anche il bozzetto di un paggetto è disegnato in stile analogo a quello delle bandiere ed ha con un costume quattrocentesco negli stessi quattro colori. Infine, poiché anche il costume giallo e celeste del fantino della tabella comunale è rifinito di bianco e di rosso, è probabile che la sua seconda pittura risalga allo stesso periodo. I quattro nuovi colori ebbero comunque un uso limitato e contingente perché per il Palio di agosto del 1847 la Tartuca preparò una nuova bandiera gialla e nera con rifiniture celesti come tutte le precedenti.

Nel maggio di quell'anno i primi moti risorgimentali avevano portato a scontri alla Lizza fra studenti e gendarmi in seguito ai quali era morto il giovane Ludovico Petronici. Nuovi tumulti avvennero poi il 4 settembre per l'aumento del prezzo del grano e, dato il clima di generale tensione, le Autorità consigliarono alla Tartuca, per i suoi colori, di non partecipare alla Festa Nazionale che si doveva tenere a Firenze con la presenza delle Contrade. Il 26 dello stesso mese a Siena ci fu una grande cerimonia per ricevere la bandiera di Firenze in segno di fratellanza fra le città del Granducato e per la solenne benedizione della Guardia Civica recentemente istituita. Viste le idee liberali che muovevano la celebrazione, Tartuca ed Aquila non potevano partecipare con i loro rispettivi vessilli che richiamavano i colori ed i simboli dell'Austria e così li mutarono per l'occasione: l'insegna della Tartuca divenne gialla e bianca, probabilmente con una bandiera improvvisata visto che proprio per il Palio d'agosto ne era già stata fatta una nuova gialla e nera. La bandiera ebbe i colori pontifici (la cosiddetta bandiera Mastai) per assumere quelli di Pio IX che era considerato con Carlo Alberto Re di Sardegna e Leopoldo II un simbolo delle riscosse liberali. Stando al disegno del contemporaneo Flaminio Rossi la bandiera mantenne le rifiniture celesti . In quell'occasione anche l'Aquila tolse il nero e mutò lo stemma sostituendo l'animale bicipite con un castello sormontato da due chiavi incrociate. Le due Contrade questa volta ricevettero grandi applausi dalla popolazione, ma già dopo il Palio di luglio del 1849 la Tartuca fece sapere alle Autorità che considerava il cambiamento dei colori del 1847 come provvisorio, non suffragato da delibere assembleari, e pertanto come non avvenuto, ed annunciava che intendeva riprendere gli antichi colori. Si autorizzò dunque la Tartuca a ripristinare i vecchi colori e nel successivo Palio di agosto tornò gialla e nera ed immediatamente ricominciarono i fischi.

Ci si avviava intanto verso la Prima Guerra d'Indipendenza e nel decennio antecedente l'unità dell'Italia i favori del pubblico furono sempre per l'Oca, i cui colori richiamavano il tricolore; la nostra bandiera era avversata da gran parte della popolazione. La Tartuca stava attraversando un periodo veramente difficile: non trovava più chi si volesse vestire, né andare dietro la bandiera, né ricoprire la carica di Priore o assumere altri uffici; i fantini ci correvano poco volentieri ed inoltre, nonostante le ripetute richieste, era poco tutelata dalle Autorità. La Chiocciola speculava sulla situazione e vinceva spesso. Così nella primavera del 1857 i tartuchini esasperati decisero clamorosamente di non partecipare al Palio di luglio .per evitare gli scherni, le derisioni e gli insulti commessi anche con vie di fatto e per tutelare nelle circostanze di quelle feste la loro integrità personale ed ancora una volta valutarono l'opportunità di cambiare definitivamente i colori della bandiera ...sia col riprendere l'antica, o la bianca e gialla, di cui si valsero or sono pochi anni, sia coll'adottare una designata dal Governo. Sul momento ci fu un rapido ripensamento e la Tartuca partecipò al Palio di luglio, che fu vinto dalla Chiocciola, con i consueti colori giallo e nero, ma i tartuchini non cambiarono i loro intenti ed i nuovi colori, giallo e turchino, furono fatti indossare dal fantino per il Palio di agosto del 1858 e contro il parere delle Autorità; vinse di nuovo la Chiocciola. Per vedere invece una comparsa gialla e turchino a parti uguali con semplice lista nera   - come risultava dalla delibera ufficiale della Comunità Civica del 25 marzo 1859 emanata per fare i nuovi costumi delle Contrade e che accettava alla fine la decisione della Tartuca - si sarebbe dovuto attendere qualche tempo e delle nuove monture. Il poco nero sarebbe rapidamente scomparso del tutto. 

Nel frattempo le manifestazioni popolari contro i colori austriaci della nostra comparsa continuarono, sia in occasione del Palio straordinario del 27 aprile 1860 corso in occasione della visita di Sua Maestà Vittorio Emanuele II di Savoia, che durante la processione del Corpus Domini. Ciò portò inevitabilmente alle dimissioni della dirigenza, che venne sostituita da tre "Rappresentanti della Contrada" con pieni poteri, ed alla decisione di non partecipare alle due carriere del 1860. L'anno dopo però, in un nuovo clima politico, la Tartuca riprese la partecipazione al Palio e - dopo un lungo digiuno di diciotto anni - vinse il Palio del 16 agosto 1861: era la prima volta che i nuovi colori giungevano primi al bandierino.

 Qualche tempo più tardi un altro importante evento chiuse definitivamente la vicenda dei colori e dell'araldica della Tartuca: l'occasione fu la visita a Siena dei Reali di Savoia, Umberto e Margherita nel luglio del 1887 ed il giorno 18, quando essi visitarono l'Istituto dei Sordomuti e l'Oratorio della Contrada, i tartuchini resero loro omaggio in forma privata con l'addobbo e l'illuminazione di Via T. Pendola, la presenza della comparsa e della banda musicale ed un mazzo di fiori per la Regina. In tale circostanza fu presentata ai Savoia una istanza per ottenere il Sovrano Protettorato della Contrada e la regia concessione di poter inalberare il Loro stemma sulle nostre bandiere (come del resto fecero anche le altre Contrade). La Concessione Sovrana con parere favorevole della Consulta Araldica del Regno, che di lì a breve venne emanata e che interessò tutte le Consorelle, giunse alla Tartuca nella primavera dell'anno dopo tramite la Prefettura, insieme ad una "Memoria" dei Reali di Savoia a ricordo della loro presenza in Contrada:

"Essa, che ha la sua impresa consistente in una tartaruga sopra un terreno al naturale, avrà pertanto facoltà di dipingere questa sua impresa in campo d'oro sparso di nodi di Savoia d'azzurro alternati con fiori di margherita al naturale."

Al documento era allegato il disegno del nuovo stemma della Tartuca con la relativa descrizione: 

"D'oro, alla tartaruga al naturale passante su una zolla di verde, accompagnata da 10 margherite d'argento, bottonate d'oro e fogliate di verde, poste 3,2,2 e 3 su quattro file in fascia, alternate da 10 nodi di Savoia d'azzurro, con un altro simile in punta." 

Ai Savoia fu inviata una lettera di ringraziamento contenente la loro nomina di Protettori Onorari della Contrada e la Tartuca celebrò la grandiosa Festa Titolare del 17 giugno 1788, alla presenza delle Autorità e con la banda musicale, con l'apposizione della lapide sopra la porta del museo a sinistra dell'Oratorio nella quale venne trascritta la "Memoria" dei Sovrani a ricordo della loro visita. Il nuovo stemma, con dieci margherite e undici nodi sabaudi concessi dai Reali di Savoia, fu disegnato immediatamente e definitivamente sulle bandiere gialle e celesti .

Giordano Bruno Barbarulli

Cinque secoli di Tartuca

Per quanto la vera origine delle Contrade sia ancora tutta da indagare la Tartuca ebbe origine certamente dagli uomini che abitavano la "contrata" di Castelvecchio che è la parte più antica della città e per la quale si suppone un'origine etrusca.
Si dice che la Tartuca sia nata dalla riunione della Compagnia Militare urbana di Porta all'Arco con quella suburbana di Sant'Agata nel 1516 e certamente nei secoli XV e XVI gli abitanti dalle parti di San Pietro in Castelvecchio si riunirono in brigate e schiere per partecipare alle cacce ai tori e alle bufalate sotto l'egida di una macchina a forma di tartaruga o tartuca inalberando un'insegna "gialla e negra": vinsero molte cacce ai tori e la bufalata fatta nella Piazza del Campo nel 1617.
Si può ben immaginare come gli uomini "Nela contrada dela Tartuca" abbiano avuto necessità di riunirsi per organizzare la loro partecipazione alle feste, e lo fecero chiedendo ospitalità, nel corso del secolo XVII, nella chiesetta di Sant'Ansano eletto a loro Protettore; la prima vittoria della Tartuca in uno dei tanti palii alla tonda dedicati alla Madonna di Provenzano risale al 1633. A questo primo successo sarebbero seguite molte altre vittorie della Contrada.
Fallito il tentativo di acquistare dall'Opera del Duomo la chiesa di Sant'Ansano, gli uomini della Tartuca nel 1682, dopo aver comprato una casa in via delle Murella ove aveva abitato la mistica senese Caterina Vannini, iniziarono a costruirvi a proprie spese e grazie alle loro stesse donazioni un bellissimo Oratorio che dedicarono a Sant'Antonio da Padova e che terminarono nel 1685; al suo interno sono conservate ancora oggi pregevoli opere pittoriche. I tartuchini chiesero ed ottennero di poter celebrare la festa del Santo, Festa Titolare, nella Domenica infra-ottava rispetto al 13 di Giugno.
Pochi anni dopo si aggregarono con i contradaioli della Torre e della Chiocciola (1689). Intanto a partire dal 1656 il Palio di luglio, dedicato alla Madonna di Provenzano, veniva regolarmente organizzato dai Signori del Brio e, dopo altre vittorie di Palio e la conquista di molte guantiere e tre masgalani, due nel 1767 ed uno nel 1701 per avere fatto "bella comparsa", la Tartuca vinse, insieme alla Contrada Capitana dell'Onda, la Carriera dell'Assunta del 1713 fatta ricorrere dalla Chiocciola che aveva vinto di luglio. Fin dai primi del Settecento infatti le Contrade che avevano vinto il Palio di Provenzano vollero qualche volta far ricorrere a loro spese un altro Palio per le grandi feste di mezz'agosto che a Siena si celebravano in onore dell'Assunta.
Quella del 1713 è l'unica vittoria nella storia del Palio che è stata condivisa fra due Contrade. Nel 1717 giungeva a Siena la nuova Governatrice Principessa Violante di Baviera ed in suo onore fu corso il Palio del 2 luglio al quale la Tartuca partecipò con un magnifico carro vincendo un altro premio.
Violante di Baviera portò grandi novità: limitò a dieci il numero delle partecipanti al Palio (1721) e, risolvendo le liti sorte, emanò un Bando (1729) che stabiliva per sempre il territorio nel quale ciascuna Contrada poteva "fare questua", assegnando alla Tartuca quel nucleo di strade sul quale ancora oggi esercita la sua influenza. La Tartuca vinse ancora altri Palii ordinari e quello straordinario del 1 Maggio 1722, uno dei tanti che vennero organizzati in onore dei Sovrani spesso in visita a Siena. Dopo altre vittorie durante il secolo XVIII, il 16 Agosto 1786 la Contrada partecipò con un altro bellissimo carro al Palio di agosto fatto correre dalle organizzazioni cittadine per la venuta a Siena dei figli del nuovo Granduca Pietro Leopoldo, rinnovando ancora una volta la tradizione delle sue "inventioni". Mentre l'aggregazione fra Tartuca, Torre e Chiocciola si allargava anche alla Selva (1789), il nuovo secolo vide altre vittorie della Contrada e l'arrivo a Siena dei francesi.
A partire dal 1802 la Comunità senese prese ad organizzare anche la Carriera d'agosto rendendola così ordinaria come quella di luglio. A causa del Palio erano intanto insorte alcune liti fra la Tartuca e la Chiocciola, liti che nel 1814 sfociarono nello scioglimento temporaneo della "aggregazione", ma che fu però ripristinata poco tempo dopo (1820) su pressione delle Autorità. In questo lasso di tempo la Tartuca si era alleata anche con la Contrada del Leocorno (1815) ed aveva consacrato il proprio Oratorio arricchendolo di una nuova cupola, dell'orchestra per l'organo e di una Residenza per il SS. Sacramento (1818-1819). Anche negli anni seguenti, dal 1831 al 1836, i tartuchini donarono alla loro chiesa altre due opere d'arte, l'ammaio per le Quarantore ed il paliotto dell'altare maggiore, intagli lignei di stupenda fattura e pregevole valore. Le liti con la Chiocciola si fecero ancora più accese negli anni successivi, fino al punto che nel 1847 ci fu il rischio di una nuova rottura dell'alleanza immediatamente scongiurata con una solenne riconciliazione fra le due Contrade sottolineata da funzioni religiose e pranzi comuni. Nel frattempo però i colori della Tartuca, nonostante che al giallo e nero fosse stato da tempo aggiunto qualche fregio celeste, erano diventati invisi alla popolazione infiammata dai nuovi principi patriottici che portarono i senesi ad assimilare i colori della bandiera della Contrada a quelli dell'oppressore Austriaco Impero. Così la Tartuca nello stesso anno prese i colori giallo e bianco uguali a quelli della bandiera pontificia, per tornare però due anni dopo al tradizionale giallo e nero. Nel 1855 la Contrada fu allietata da un importante evento: l'immagine di Maria SS. delle Divine Grazie, la "Mater Misericordiae" dei tartuchini conservata nell'Oratorio di Sant'Antonio da Padova fin dal 1816, fu il principale simulacro nella processione della Domenica in Albis, alla quale i tartuchini parteciparono festanti ed in gran numero. Poiché i fischi della popolazione avversa ai colori continuavano, la Tartuca chiese ed ottenne nel 1858 di cambiare il nero in turchino e, dopo aver deciso di non correre alcuni Palii, con i nuovi colori vinse quello dell'agosto 1861 interrompendo un digiuno che durava dal 1843. Nella nuova realtà dell'Italia unita e con la spinta di una rinnovata solidarietà sociale i tartuchini decisero nel 1885 la costituzione della Società di Mutuo Soccorso Castelsenio che ebbe la sua prima sede in un piccolo locale in Castelvecchio; appena un anno dopo la Tartuca conquistava il suo primo "cappotto" vincendo il Palio sia di luglio che d'agosto (1886). Nel 1887, a seguito della visita alla città di Siena, ed in particolare alla Tartuca, da parte dei Reali Umberto e Margherita di Savoia, lo stemma della Contrada si arricchiva delle margherite e dei nodi sabaudi assumendo quella configurazione che ancora oggi mantiene; successivamente la sua bandiera fu completata dagli emblemi delle antiche Compagnie Militari di Porta all'Arco e di S.Agata.
Nel frattempo aumentavano sempre più i contrasti con la Chiocciola in Piazza, accentuati dalle molte vittorie della Contrada sul finire del secolo XIX, contrasti che sfociarono in una rottura definitiva nell'anno 1906 che mise fine ad una alleanza durata, seppure a fasi alterne, per oltre due secoli e rese palese la mai misconosciuta rivalità. Altre vittorie arrisero alla Contrada all'inizio del nuovo secolo fino alla pausa imposta dal primo conflitto mondiale. Dopo il ritorno alla normalità la Tartuca vinse ancora nel 1930 e due volte nel 1933, per un secondo "cappotto", con il fantino Ferdinando Leoni detto Ganascia ed il mitico Folco. La doppia vittoria, facilitata dal nuovo patto di alleanza con Oca, Nicchio e Onda che assunse la denominazione di TONO, ma che ebbe come conseguenza la rottura anche dell'antica alleanza con la Torre, venne celebrata con una splendida festa e la pubblicazione del primo "numero unico" della Contrada intitolato "K'8". Intorno a quegli anni i tartuchini provvidero anche al primo ampliamento del loro piccolo museo, mentre la Società Mutuo Soccorso Castelsenio trasferiva definitivamente la propria sede in via Tommaso Pendola, dopo una permanenza di alcuni anni in via dei Maestri. Poco dopo una nuova guerra mondiale costrinse le Contrade ad una ridotta attività ed il Palio ad un'altra interruzione. Trascorso il conflitto i contradaioli della Tartuca, con nuove ritrovate energie, ampliarono ancora il loro museo nel 1948 con una nuova e splendida sala ove vennero esposti i drappelloni più antichi conquistati nel corso dei secoli, poi quelli delle nuove vittorie del 1951 e del 1953 ed un altro masgalano, ricevuto in premio nel 1954 dopo che la secolare usanza era stata di nuovo ripristinata. Le vittorie vennero celebrate con splendide e moderne feste.
Proprio in quegli anni il territorio della Contrada si era arricchito di una bella fontanina per il battesimo contradaiolo, donata dal famoso Silvio Gigli, un tartuchino che rinverdiva la storica appartenenza alla Contrada di insigni artisti ed illustri personaggi quali Domenico Beccafumi, Padre Tommaso Pendola, Luciano Banchi, Tito Sarrocchi e Arturo Viligiardi.
Nel frattempo le Contrade si avviavano alle più grandi trasformazioni di tutta la loro storia indotte dalla nuova realtà sociale, dalla diffusione dei mezzi di trasporto, dalle nuove forme di comunicazione e dalle trasformazioni urbanistiche del piano regolatore. La Tartuca, come anche le altre Contrade fecero per stare al passo con i tempi, si dotò di un nuovo statuto (1960), che pur rifacendosi alle antiche tradizioni introdusse nuove modalità organizzative, di una nuova sala delle adunanze ricavata nella cripta dell'Oratorio (1961), di una moderna attività ricreativa tramite la rinnovata Società Castelsenio (1973), ed in seguito di un periodico per i contradaioli che venne intitolato "Murella Cronache" (1976). Anche sul versante del Palio le cose erano cambiate, soprattutto per quanto riguarda i fantini che erano ormai diventati veri professionisti, e la Tartuca ebbe, per un certo periodo di tempo, un fantino proprio, Leonardo Viti detto Canapino, con il quale aveva conquistato la vittoria del Palio di luglio del 1967. Il "numero unico" realizzato dai tartuchini per la festa di quella vittoria aveva aperto una nuova strada nella editoria contradaiola, strada che la Tartuca ribadì di lì a breve con un'altra pubblicazione celebrativa della vittoria del Palio del 2 luglio
1972, arrivata in Contrada grazie ad Aceto e a Mirabella. Le vicende paliesche portarono però la Contrada a pesanti confronti con la Chiocciola e alla rottura dell'alleanza con l'Oca. Nell'ultimo ventennio di questo secolo la Tartuca è stata una fucina di nuove iniziative: un pranzo annuale in onore dei veterani della Contrada, la costituzione del Gruppo Donatori Sangue, la Marcia Siena-Montalcino in ricordo della storica indipendenza senese, le celebrazioni per il terzo centenario dell'Oratorio ed per il primo della Società, non trascurando però le crescenti necessità amministrative che si sono concretizzate in una "segreteria" ed in un sistema informatico.
Dopo il masgalano del 1988 altre due vittorie hanno arricchito il museo della Contrada con i drappelloni del 2 luglio 1991 e del 16 agosto 1994, ai quali si è aggiunto infine un altro masgalano conquistato nel 1995. Le feste per le ultime due vittorie, con l'innovazione del rione aperto il sabato sera a tutta la cittadinanza, hanno ancora una volta evidenziato la storica propensione dei tartuchini per le feste. Ed anche il video allegato per la prima volta ad un "numero unico" (1991) ha confermato le capacità innovative della Contrada pur restando nel solco delle tradizioni. D'altra parte è ormai indiscusso il prestigio dei tartuchini, sottolineato, se ce ne fosse bisogno, dai Sindaci di Siena, dai Rettori dell'Università e dai molti insigniti del Mangia espressi dalla Tartuca nella seconda metà del secolo appena trascorso. Oggi la Tartuca, con nuove realtà quali l'utilizzo degli orti dell'ex-convento di Sant'Agostino ottenuti in concessione dal Comune di Siena, l'acquisto recente del fabbricato Cesari-Manganelli prospiciente il prato di Sant'Agostino che ospita la nuova Società, ed il restauro del museo attualmente in corso, è più che mai proiettata verso il terzo millennio.

Giulia e Giordano Bruno Barbarulli

Chiocciola, un'amicizia difficile

La Tartuca aveva vinto un Palio nel 1889 e la disperazione dei chiocciolini per la purga era giunta a tal punto da far gettare ad alcuni di essi l'immagine di Sant' Antonio Abate nel pozzo di San Marco. Da questo episodio derivò per i chiocciolini l'epiteto di “affogasanti”, utilizzato poi dalla Contrada quale titolo del suo giornalino periodico; solo dopo 22 anni, quando il quadro fu “ripescato” e ricollocato al suo posto naturale, la Chiocciola poté rivincere il Palio, il 2 luglio del 1911. La vittoria del 1889 provocò l'accentuarsi dei contrasti che, fra alti e bassi, durante l'Ottocento non si erano mai sopiti, pur restando le due Contrade sempre formalmente aggregate.

Nel luglio del 1891 la Tartuca corse di diritto, Capitano Daniele Danielli e fantino Emilio Lazzeri detto Checche, che nerbò sonoramente la Chiocciola, mentre la Selva con il miglior cavallo andava a vincere indisturbata. Subito dopo la Carriera i Mangini informarono il Priore Ferdinando Pisaneschi ed il Seggio del comportamento ostile dei chiocciolini nel dopo corsa a dispetto dell'accordo di “nerbo libero” stipulato fra le dirigenze, e chiesero, una volta per tutte, la definizione dei rapporti con l'aggregata li Consiglio del 28 luglio decise di proporre alla Chiocciola un incontro fra Capitani e Priori, mala Contrada di San Marco ritenne invece più adatta una riunione dei Seggi al completo, riunione che si tenne il 6 di agosto e che si concluse con un fragile accordo di non belligeranza.

Il 16 agosto la Tartuca correva ancora di diritto e vinceva un altro Palio con il fantino Francesco Ceppatelli di Volterra detto Tabarre su di una cavalla baia di Galgano Boscagli; la Tartuca partì terza, ma fu subito prima e vinse; correva anche la Chiocciola.

Dopo la vittoria il Consiglio Direttivo della Tartuca del 24 agosto rilevò come la Chiocciola non abbia osservato, nella nostra vittoria del 16 Agosto, quegli usi tradizionali di cortesia che .sono un obbligo per le Contrade aggregate e che si dicono amiche non spiegando in Piazza alla Tartuca e non inviando alla sede della Contrada vittoriosa la propria bandiera, e come, durante il "giro" del giorno dopo, la comparsa aveva trovato chiuso l'Oratorio dei SS. Pietro e Paolo, non essendovi nessuno a render gli onori alla Contrada. Fu pertanto incaricato il Priore di scrivere a quello della Chiocciola per verificare se i chiocciolini volessero o meno rispettare l'accordo del 6 agosto.

I dirigenti di San Marco fecero sapere alla Tartuca che il loro Seggio si era riunito e che, fedele ai patti, aveva dato la dimissioni in blocco, nel verbale della riunione, trasmesso per conoscenza, si ammettevano i fatti e si attribuiva la colpa dei medesimi ad una minoranza di infima classe sociale che voleva vendicarsi delle nerbate del 2 luglio Nel contempo il Seggio della Chiocciola dimissionario aveva deliberato di sospendere il primo Alfiere ed il secondo rispettivamente per tre anni e per due anni dal poter maneggiare le insegne della Contrada, di togliere il diritto di voto ai responsabili della non apertura dell'Oratorio, di onorare la festa della vittoria della Tartuca con bandiere e bracciali come tradizione ed infine di ritenere ancora validi gli accordi presi con il patto del 6 agosto

I rapporti fra le due Contrade furono dunque temporaneamente recuperati, anche se divennero estremamente tesi. Era il preludio ad una rottura definitiva, che però tardava ancora ad arrivare e che, come noto, avvenne solo nel 1906.

Giordano Bruno Barbarulli

Breve storiografia tartuchina

La più antica edizione a stampa edita dalla nostra Contrada sembra risultare un pregevole libricino del 1818 uscito dalla stamperia di Giovanni Rossi.  Si tratta della “Memoria istorico – cronologia della Tartuca pubblicata in occasione della solenne consacrazione della Chiesa di detta Contrada”. Per quanto al momento ne sappiamo, dunque, rappresenta anche il primo documento tartuchino in cui si tenta di dare un senso all’origine della nostra Contrada. In quell’anno la Tartuca intraprese un importante ristrutturazione dell’Oratorio (per maggiori dettagli si consiglia la lettura della ricerca di Giordano Bruno Barbarulli “Notizie storiche sulla Contrada della Tartuca”, Contrada della Tartuca, 2006), seguita direttamente anche dal Granduca di Toscana Ferdinando III. Il libretto è giustamente dedicato “Alla generosità dei suoi protettori” che di fatto contribuirono di tasca propria ai costosi lavori che ci hanno consegnato l’Oratorio così come oggi possiamo ammirarlo. In apertura si è pubblicato un sonetto scritto per la consacrazione dell’Oratorio. A pagina 7 ha inizio le “Memoria istorico cronologia della Contrada della Tartuca”. Questa pagina, in qualche maniera, segna la presa di coscienza della Contrada della propria storia. Si avverte per la prima volta la necessità di scavare nel proprio passato, ritrovare le fondamenta, le origini e consegnare ai posteri una storia iniziata oltre 300 anni prima. L’aulica prosa del tempo ritma con sapienza le assolute certezze storiche sulla nascita della Tartuca, facendo risalire la scelta dell’animale “tartuca” dal vessillo della legione romana che nel 290 a.C. si accampò nell’attuale zona di S. Quirico per creare la prima colonia romana. Dunque il simbolo della Contrada viene fatto ricollegare direttamente con la fondazione di Siena. Di certo non possiamo sapere se quella legione avesse per insegna una tarturuga che sovrasta un castello come si dice nella “Memoria”. Per altri prevale invece l’ipotesi che i colori giallo e neri adottati dalla Tartuca traggano origine dall’insegne del Sacro Romano Impero (molto più plausibile farli derivare dal colore della corazza dell’animale). Comunque è curioso sapere che è proprio in quel periodo, nel 289 a.C.che viene fondata “Sena Gallica” ovvero Senigallia. Occorre precisare che i primi documenti in cui compare il nome di Siena risalgono, come è noto, a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia) e Tacito (Historiae) e si riferiscono ad un periodo posteriore. Il nome di “Sena Julia” invece si trova indicato nella mappa della “Tabula Peutingeriana” del 1200 circa., un documento ricavato da antiche mappe dell’epoca imperiale romana. Ma torniamo al nostro prezioso libretto. L’estensore della storia ci ricorda che nel nostro territorio si fermò S.Ansano (in realtà, perseguitato, era fuggito da Roma) diffusore del cristianesimo a Siena, e che in Castelvecchio risiedevano i primi vescovi di Siena. Saltando il periodo longobardo e franco, le note storiche accennano alla peste che afflisse siena nel XIV secolo e si esplicita la data del 1516 come prima apparizione della nostra Contrada: “Nel 1516 le due antiche Contrade di Porta all’Arco, e di S. Agata ricordevoli del Vessillo, che, come sopra, avevano adottato i Romani Coloni, rappresentarono una Tartuca in Carro di Trionfo, scortato da numerosa schiera di Giovani vestiti alla Romana e spiegarono il Vessillo nero, e giallo come simbolo del Romano Impero con in mezzo una gran Tartuca in campo azzurro”. Le notizie riportate naturalmente non sono corredate da note documentali che possano testimoniarne l’autenticità e una buona dose di fantasia accompagna le poche righe che descrivono la nascita della nostra Contrada. Come Giovanni Mazzini ha evidenziato più volte, (cfr. ad es. “La Tartuca ed i suoi abitatori”, Il costume di un Popolo, Contrada della Tartuca, 2002) ”infatti, sebbene non vi siano dubbi che la Tartuca sia nata precedentemente la caduta della Repubblica di Siena (1555) il primo documento ufficiale con data certa in cui appare il nome della nostra Contrada è del 1560. La Tartuca infatti non è citata nella famosa descrizione del cartaio Cecchino della Caccia del 1546 sebbene un carro a forma di “Tartuca” si può notare in una delle altrettanto famose tele del Rustici riferite alla stessa occasione e realizzate, sembra, da copie dell’epoca. Nel documento del 1560 si chiede che “Marianotto fattor dell’Opera mandorno farsi precetto che subbito dia et consegni l’animale detto Tartuca a li homini di detta Contrada”. Queste poche frasi scovate da Mazzini rappresentano, fino ad oggi, le notizie più rilevanti circa l’origine della nostra Contrada. Da questo comunicato infatti sappiamo che la Contrada prende il nome dall’animale; che il nome “Tartuca” come aveva già messo in rilievo Roberto Barzanti (crf. “Un nome nostro”, L’Oratorio di Sant’Antonio da Padova alle Murella, Contrada della Tartuca, 1982) è di derivazione volgare italiana e non spagnola. Inoltre considerato che quasi sicuramente durante gli anni dell’assedio di Siena non sono state organizzate caccie ai tori, se la macchina della Tartuca era ricoverata in qualche magazzino ciò significa che la nostra Contrada esisteva precedentemente il 1552.
Per concludere questa breve nota riassuntiva dei documenti di maggior importanza scoperti fino adesso negli archivi riguardanti la Tartuca, occorre citare il documento della metà del XVI in cui sono riportati per la prima volta i nomi di tutte e diciassette le Contrade (seppure il Bruco è “Ovile”, la Pantera “Laterino”, la Torre è “Liofante”(cfr. Giovanni Mazzini, “La Compagnia del Drago in Camporegio”, Contrada del Drago, 2000). Le “Notizie” della pubblicazione tartuchina – tratte per lo più dalle memorie di G.A. Pecci – esaltano in particolar modo la magnificenza dei Carri allegorici e delle Feste realizzate dal XVI fino ad allora e seppure descritte con enfasi tale caratteristica dei tartuchini era ben nota e riconoscita da tutta Siena ed evidentemente si è prolungata per altre festose circostanze fino ai giorni nostri. Magnifica deve essere stata la festa del 1814 realizzata in occasione sia del rientro del Papa Pio VII a Roma dopo l’esilio forzato che del concomitante ritorno sul trono toscano di Ferdinando III, a causa della caduta di Napoleone. Tutta Via delle Murella “fu coronata da una pienissima illuminazione” con ben 80 archi: i lumi ad olio, si legge nel libretto, erano circa 30.000. Al centro della festa era allestita una sala con il ritratto di Ferdinando III ed un'altra per il ristoro dei cittadini. Nelle ultime pagine si riportano le parole iscritte in una lapide posta nell’Oratorio a ricordo della visita del Granduca e della consacrazione della chiesa tartuchina del 1818. Nel 1891 la Tipografia e Litografia Sordo-muti di Lazzeri manda alle stampe, per conto della Tartuca, l’opuscolo “Note storiche” in occasione della Festa Titolare del 14 giugno. Come riferisce Barbarulli nel già citato libro, tale edizione, fu probabilmente redatta da Giovan Battista Corsi, dopo che il Consiglio si espresse negativamente per una pubblicazione su Caterina Vannini. Il contenuto storico della pubblicazione è pressoché un riassunto della precedente edizione ma nelle pagina finale si dà conto del contributo artistico che arricchisce il nostro Oratorio realizzato proprio in quell’anno. Si tratta dell’incisione marmorea del pavimento da parte di Leopoldo Maccari secondo un bozzetto di Arturo Viligiardi rappresentante un miracolo di Sant’Antonio da Padova. Il disegno del Viligiardi tra l’altro è stato restaurato nel 2003 insieme ad altre opere grazie al contributo della Banca Monte dei Paschi. In chiusura del libretto del 1891, è pubblicato un inno che i componenti della Tartuca offrono devoti al Santo Taumaturgo. 

La pubblicazione del 13 giugno 1915, offerta in omaggio ai protettori, si inquadra nel difficile periodo bellico che l’Italia sta iniziando ad affrontare. La prefazione infatti si richiama alle “sorti e i destini della nuova Italia” ed “ogni pensiero ed ogni atto che non fossero rivolti alla preparazione della grandezza Nazionale, sarebbero pensieri ed atti favorevoli alla vittoria del nemico esecrato”. E’ per questo motivo che il Consiglio della Contrada decide di sospendere tutte le feste e nel pubblicare questo libretto rammenta le delibere dell’Assemblea generale tartuchina adottate nel passato in quanto la Contrada aveva sempre risposto con la massima fermezza per le sorti di una Patria che adesso si trovava impegnata nella prima Guerra di Indipendenza. Si ricorda così le precedenti decisioni prese dalla Contrada in simili drammatiche circostanze: Il 16 luglio 1848 (prima Guerra di Indipendenza), su proposta del Priore Ascanio Corsini e del Capitano Giovanni Bordoni, fu deciso di sospendere la carriera del Palio di agosto in quanto sembrava “non convenire pensare ai divertimenti”. Nel 1859 (seconda Guerra d’Indipendenza) con l’Assemblea generale del 13 maggio la Tartuca prende la decisione per acclamazione di sospendere la Festa Titolare deliberando anche il contributo di cento lire a favore delle spese per la guerra contro gli Austriaci e aprendo una sottoscrizione tra tutti i contradaioli sempre per il medesimo scopo. Nella successiva assemblea del 12 giugno 1859 (terza Guerra di Indipendenza) si decide anche per la sospensione della carriera di luglio tenendo a precisare di ignorare “quale possa essere il resultato delle deliberazioni delle altre Contrade”. Dunque il 23 maggio 1915 in occasione dello scoppio della I Guerra mondiale e del richiamo alle armi da poco decretato dal Re, si convoca l’Assemblea generale per sospendere la Festa Titolare, dare alle stampa la pubblicazione con le quattro precedenti deliberibe “storiche” devolvendo “l’economia che verrà a conseguirsi per questo” alle famiglie dei richiamati più bisognosi. Infine si decide di chiedere alle autorità di sospendere il Palio. In calce al libretto sono riportate le lettere di ringraziamento al Priore Alfredo Venturini, da parte del Sindaco Livio Socini e del Prefetto di Siena.

In conclusione è possibile mettere in rilievo come un filo invisibile colleghi quel primo esordio editoriale del 1818 con gli altri libretti del 1891 e del 1915 per giungere fino ai recentisimi studi di Giovanni Mazzini e Giordano Barbarulli. La volontà, la passione e l’orgoglio tartuchino hanno fatto sì che le vicende, o più semplicemente “Le notizie storiche” di un cammino che procede da oltre cinque secoli fossero scritte in prima persona dai tartuchini stessi. E’ anche questa, in fin dei conti, la cifra stilistica della nostra Contrada.

Giovanni Gigli

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