Remigio Rugani, il generoso ribelle

Conoscevamo Remigio Rugani, spavaldo capitano tartuchino, (dal 1926 al 1928 e dal 1949 al 1959) come protagonista dalle vicende paliesche lungo un periodo di almeno 30 anni. Due palii vinti, qualche sonora purga, regista dietro le quinte anche del Palio del 1930 e del cappotto, sebbene formalmente il capitano per gli annali risulti suo fratello Pino, il quale però preferiva di gran lunga giocare a carte sotto il sole di Forte dei Marmi rispetto alla calura di Piazza del Campo. Per gli affari di Palio ci pensavano Augusto Mazzini, Ugo Bartalini e Remigio. Ma esiste un aspetto importante della vita di Remigio di cui pochissime persone ne erano a conoscenza. Ma andiamo per ordine. Medico otorinolaringoiatra stimatissimo in tutta Siena, fondatore della clinica che porta il suo nome, Remigio nasce a Siena, in via delle Cerchia, il 26 ottobre 1898. Suo padre Amerigo è un medico, contradaiolo della Lupa, sua madre è Sofia Bartalini, sorella di Scipione capitano tartuchino vittorioso nel Palio del 1902 (la famiglia Rugani-Bartalini infatti ha vinto sei drappelloni, le cui aste furono donate da Giovanni Rugani alla Tartuca). Quattro sono i fratelli di Remigio: Jacopo (Pino), Riccardo, Gabriella e Lucia. Dalla moglie Laura Benvenuti, figlia del mossiere Venturino (Giuseppe) Benvenuti, avrà tre figli: Fabio, Donata e Giovanni.

Carattere ribelle ed esuberante, Remigio aderisce con l’entusiasmo del ventenne al nascente partito fascista senese fino a diventarne il segretario politico. Ben presto però (1924), non accettando la svolta clerico-borghese imposta da Mussolini per facilitarsi l’ascesa al potere, fu isolato ed estromesso dal partito. E’ in questo periodo (1926-1927) che Remigio, evidentemente deluso dall’impegno politico, accetta, sebbene sia giovanissimo, la carica di Capitano della Tartuca. Al termine della breve esperienza dirigenziale contradaiola lascia Siena per trascorre gli anni di studio della specializzazione medica a Milano. Di ritorno nella città natale - ormai non si interessa più di politica attiva - nei primi anni del 1930 fonda, come si è detto, una clinica medica privata in Piazza della Posta nel palazzo di proprietà della famiglia della moglie Laura.
Arriviamo così ai drammatici anni della guerra. Il 10 giugno 1940 Mussolini decide di entrare in guerra al fianco di Hitler e nel 1941, l’Italia partecipa alla sciaugurata campagna di Russia. Remigio, in qualità di medico, fu richiamato alle armi (aveva partecipato anche alla prima guerra mondiale). Rifiutò, valutandola troppo “comoda”, la destinazione iniziale di Montecatini, e chiese di essere inviato direttamente in prima linea. Fu accontentato. Così partì al seguito del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) che, insieme alla famosa ARMIR, componeva le formazioni italiane nelle strategie dell’invasione voluta da Hitler. Fu assegnato al convalescenziario di Dnepropetrovsk, cittadina ucraina situata sulla linea del fronte del fiume Dniepr, luogo di drammatici scontri. E’ in questo contesto di guerra, miseria e morte che lo spirito umanitario di Remigio prende il sopravvento sui dettami malvagi e criminali di una ideologia che aveva dichiarato lo sterminio di tutti coloro che appartenevano alla religione ebraica. E’ il novembre del 1943, alla vigilia della ritirata italiana. Nei dintorni dell’ospedale da giorni i soldati vedono aggirarsi un bambino di dieci anni che rovista nei rifiuti per mangiare. Avvertono subito l’unica persona che è in grado di poter gestire al meglio la situazione, ovvero il capitano Remigio Rugani.
Isaia Saizev (foto a sinistra) è il nome di questo bambino di dieci anni, al quale i nazisti hanno ucciso i genitori, due fratelli e una sorella. Lui era riuscito a fuggire in tempo sgattaloiando fuori dalla casa con in mano una cornice con la foto della famiglia appena sterminata. Si era rifugiato da altri parenti ma la brutale rappresaglia tedesca era arrivata anche in quella casa, fucilando senza pietà la zia e due cugine. Dio, o il destino, per chi non crede, gli fece incontrare il suo salvatore nelle vesti di un capitano dell’Esercito italiano. Remigio lo vide, gli mise un cappottone militare addosso, lo fece mangiare e gli disse: “Tu starai sempre con me”.
Il treno militare sarebbe partito di lì a pochi giorni. Isaia era piccolo di statura e fu facile nasconderlo in una cassa. Il convoglio, nei giorni successivi, fece una sosta a Kolomiya in Polonia e Remigio fu ospite di una colta famiglia borghese del posto, la cui casa era un solidale cenacolo di amici caduti in disgrazia per via della guerra. Una ex possidente polacca che adesso faceva l’infermiera per conto dei tedeschi, gli segnalò il pietoso caso di un giovane dottore ebreo che il giorno dopo sarebbe finito nella lista della morte, essendo rimasto l’unico superstite ebreo di un ospedale ormai in fase di abbandono. Remigio non ci pensò sopra neanche una notte. La stessa sera sul tardi, di nascosto, accompagnato da amici fidati, entro nel ghetto ebraico della cittadina e travestendolo da soldato italiano “prelevò” uno sbigottito dottore Sigfrid Haber. Un anno dopo, esattamente il 3 settembre 1944, (Siena era stata liberata il 3 luglio) sarà lo stesso Haber a fornirci la descrizione di quell’episodio in una memoria scritta che invierà all’ambasciata polacca:

“..sono restato solo al mondo a causa della malvagità tedesca! Dalla Gestapo sono stati vigliaccamente fucilati senza alcun particolare motivo, la madre, sua sorella con due nipoti e alti due parenti stretti; anch’io avrei avuto la stessa sorte se un Capitano medico italiano il dottor Remigio Rugani di Siena, che di passaggio a Kolomiya, durante una sosta nel viaggio di ritorno dalla Russia non avesse avuto pietà del mio difficilissimo stato (essendo già nella lista della Gestapo) e a suo rischio e pericolo non mi avesse portato in Italia travestito da soldato sordomuto.”

Haber dunque sale in treno, vestito da soldato italiano fingendosi sordomuto, ma Remigio deve guardarsi dalla vigile stupidità del colonnello Caneparo, responsabile della tradotta militare, il quale ha ormai capito che nel treno vi sono “uno o due nemici della patria” e lo mette alle strette. Ripartendo da Kolomiya interroga Remigio: “Mi dica, Capitano, in questo treno si trova un bambino ebreo?”
Remigio, come racconterà lui stesso nella memoria difensiva del processo militare a cui fu sottoposto a Verona, risponde con uno stratagemma: “(dopo la richiesta,ndr)… soltanto la mia presenza di spirito e la mia calma mi fecero “salvare capra e cavoli” come si suol dire; in primo luogo tergiversai e feci cenno di far scendere il bambino dalla tradotta, e ciò avvenuto, a nuova categorica richiesta detti la mia parola d’onore che il bambino non era più nella tradotta perché era disceso.”
Con un colpo di astuzia, dunque Remigio, per non disubbidire agli ordini ed allo stesso tempo salvare il piccolo “nemico della patria”, con un cenno lo fa scedere dal treno (per poi farlo risalire) e risponde: “No, non c’è nessuno!”.
Attraverso altre peripezie, alla fine Haber e Isaia, soprannominato Franceschino, giungono in Italia, e sono nascosti in casa di Remigio o da altri amici per tutto il periodo tra la fine del 1943 e la liberazione di Siena. In quei lunghj mesi oltretutto Remigio, presta soccorso a numerosi feriti partigiani dietro richiesta di Ranuccio Bianchi Bandinelli, importante personaggio della resistenza senese, senza richiedere nessuna garanzia in cambio. Difatti pochi mesi dopo la “Liberazione” Remigio subì un processo per reati legati al suo passato fascista e fu condannato a tre anni, sentenza poi annullata con l’amnistia voluta da Togliatti.

 


Di ritorno a Siena dal fronte russo, oltretutto Remigio, aveva tenuto due discorsi critici della guerra fascista e della sua organizzazione a Siena ed Abbadia San Salvatore, che fecero scalpore.
Racconta Pietro Ciabattini, storico fascista senese nel suo libro “Siena tra la scure e la falce e martello”: “Remigio Rugani era un buon parlatore, ma nella foga del racconto si lasciò sfuggire poco velate critiche sul modo in cui si era svolta la partecipazione italiana in quello scacchiere di guerra, attribuendo il tutto a coloro che effettivamente ne erano responsabili.”
A seguito di questa sparata Ciabattini si meraviglia che Rugani potesse continuare a guidare tranquillamente la propria Casa di cura “gremita fino all’inverosimile di renitenti alla leva”.
Tra l’8 settembre 1943 ed il 3 luglio 1944 infatti si attiva per nascondere altri 25 ebrei, partigiani e renitenti alla leva nella casa di cura e negli ospedali militari del Pendola e San Marco. Numerose le inchieste del governo repubblicano insospettito dalle denunzie anonime, come scrive sua moglie in una lettera inviata alla stampa in occasione del processo nell’immediato dopoguerra.
Isaia fu allevato dalla famglia Rugani al pari di un figlio. D’estate veniva mandato a studiare la sua lingua da alcuni monaci russi nelle Dolomiti, ed in seguito divenne interprete per conto della Fiat. Haber emigrò negli Stati Uniti per ricongiungersi con il fratello che era addirittura riuscito a fuggire dai lager sovietici (il triste primato dell’invenzione dei campi di concentramento spetta a Stalin) attraversando lo stretto di Bering.
Nel 1980 è stata pubblicata una memoria biografica dei due fratelli “Two Brothers: Sigfried and Max Haber” a cura del Division of Holocaust Studies, Institute of Contemporary Jewry, Hebrew University of Jerusalem.
Alla fine, il destino di Remigio si incrocerà drammaticamente anche con il Palio, con le vicende della sua amata Tartuca.
Il 15 agosto 1958 durante una rissa in Piazza della Posta tra tartuchini e chiocciolini, Remigio fu colpito violentemente alla pancia riportando un grave sventramento intestinale. Dopo mesi di convalescenza Remigio si ristabilì, ma i postumi di quell’incidente furono tali da non permettergli di condurre una vita nella piena condizione fisica. Lentamente si ritirò dalla vita pubblica e si spense nel suo letto il 19 maggio 1968, vegliato dai suoi familiari e dal “suo bambino” Isaia-Franceschino che in quella notte raccontò tutta la sua incredibile storia alla figlia Donata.
Le stesse vicende sono raccontate con efficacia nel bellissimo documentario promosso dall’ ”Istituto storico per la resistenza senese e la storia contemporanea” e realizzato da Silvia Folchi e Antonio Bartoli, intitolato “La responsabilità del bene” e proposto nel “Giorno della memoria” onorato per la prima volta da una Contrada, ai tartuchini che hanno partecipato alla serata ricordo nella Tartuca il 27 gennaio 2012.
Quello che colpisce nella personalità di Remigio è la sua estrema indipendenza da qualsiasi condizionamento esterno, rispetto ai dettami delle proprie idee e dei propri valori. La sua decisa volontà di affermazione lo conduce spesso a contrasti e rischi personali pesanti, di cui egli è consapevole con estrema lucidità, assumendosi tutte le responsabilità che tali decisioni comportano. Al di là della sue scelte giovanili, del suo carattere rissoso e prepotente, ma anche fortemente intriso da sentimenti di straordinaria generosità, la coscienza di Remigio si svela nel momento del pericolo. Sia nel caso del bambino che nel caso del dottore polacco, Remigio prende l’unica decisione che un uomo deve fare: porre la vita delle persone al di sopra di ogni convenienza personale, rifiutando la malvagità prodotta dalle dinamiche della guerra. Remigio in quel momento si oppone alle leggi ideologiche del governo fascista a cui pure egli aveva aderito ed alla cieca obbedienza militare.
Tommaso Landolfi ha scritto che “Al Palio si possono affidare le proprie sorti, ed esso medesimo segna per chi ha un cuore, un’epoca dell’anima”. Per la sua vicenda personale come Capitano della Tartuca, che lo porterà anche ad una fine lenta e tormentata, e per la sua vicenda di medico militare, Remigio, è il caso di dirlo, ha affidato la propria sorte al Palio ed alla Storia.

Giovanni Gigli