La bandiera del 1953
La bandiera che venne donata alla Contrada nel giugno 2022 da Augusto, Giovanni e Paolo Mazzini è stata finalmente restaurata ed è pronta per venire collocata nel nostro Museo.
Si tratta di una bandiera molto particolare, certamente tra le più “vecchie” che oggi la Contrada possiede. Apparteneva a Giovanni Mazzini – figlio di Augusto “Il Vecchio” – elegante alfiere anteguerra e tenente vittorioso nel 1953 e 1967. Dopo di lui era passata a suo figlio Augusto (l’architetto) e al nipote Giovanni. La bandiera è documentata in una foto del numero unico del 1953, apposta alla facciata del “chiesino” dei Tufi, dove evidentemente si stava svolgendo una tradizionale merenda celebrativa della vittoria appena conseguita. Nell’immagine, in primo piano, si scorgono gli artefici di quel trionfo che bissò la conquista del Palio di appena due anni prima: l’indimenticabile Capitano Remigio Rugani al centro, in mezzo ai suoi due fiduciari, Giulio Francioni a sinistra e appunto Giovanni Mazzini a destra. Non sappiamo se la bandiera venne donata al sor “Nanni” Mazzini in memoria del Palio vinto, oppure se Nanni la acquistò dalla Contrada quando il vessillo fu dismesso (a quel tempo ancora non esistevano le bandiere stampate). Fatto sta che quella diventò la bandiera personale del Mazzini.
L’uso di esporla alla finestra nel tempo aveva naturalmente sciupato un po’ la seta, che era stata rammendata e rattoppata in vari punti, ma non è dato sapere se dal Mazzini o prima ancora che lui ne venisse in possesso. Si è reso perciò necessario un restauro e un consolidamento della seta più rovinata, mentre lo stemma – dipinto ovviamente a mano e di buonissima fattura – era ancora in ottime condizioni.
Una porzione di seta molto estesa, sostituita in tempi relativamente recenti, di un colore contrastante con l’originale interessava l’angolo in basso a destra. Un’altra piccola inserzione di un tessuto dello stesso periodo della bandiera, ma di colore più chiaro, si trovava in prossimità dell’angolo a destra in alto.
I rammendi sono stati rimossi tutti, rivelando una grande quantità di filati di vari tipi e colori usati per punti fittissimi e a volte sovrapposti, perché eseguiti in epoche diverse, che hanno interessato buona parte della bandiera.
Per il consolidamento è stato preparato un supporto in voile di seta tinto dei colori dei tessuti di fondo, trattato con resina polivinilica, posizionato sul retro della bandiera e fermato con spatola a caldo. Con questa tecnica sono state supportate tutte le aree lacerate o anche solo indebolite e i pennacchi al cannone dell’asta.
Le zone in prossimità delle lacune, dove il tessuto era particolarmente sfilacciato, sono state ulteriormente fermate da dritto a punto posato con filato di seta tinto del colore del fondo. Sul verso, in corrispondenza delle lacune sono stati posizionati tessuti del colore dell’originale come integrazione cromatica e per dare unità visiva dell’opera.
Per lo stesso motivo, sopra le due parti di seta sostituite e di colore diverso è stato posizionato sul recto un voile di seta tinto di un colore simile all’originale fermato a cucito.
Questa soluzione è stata adottata solo per un motivo estetico, perché le parti sostituite erano da considerarsi ormai storicizzate e la loro rimozione era da considerarsi un’operazione non utile e molto invasiva.
Per permettere una migliore conservazione e l’esposizione in verticale all’interno di una teca, la bandiera è stata infine posizionata su un telaio ligneo rivestito di tessuto di cotone di colore naturale e fermata a cucito lungo i perimetri.
Il restauro ha dunque avuto la finalità di ricomporre e consolidare i tessuti, ridare loro stabilità e predisporre l’opera per l’esposizione.
In mancanza di altre immagini o di bozzetti, non siamo in grado di dire se questa bandiera fosse stata realizzata nei primi anni Cinquanta del Novecento o se risalisse ai decenni precedenti. Il suo disegno molto particolare deriva quasi certamente dalla bandiera “a merli” del 1928 (riprodotta anche negli anni ’60, e vittoriosa nel 1967): ne mantiene il taglio diagonale e la partizione dei colori giallo e turchino in due ampie campiture. I “merli” che intersecano i rispettivi campi cromatici (in araldica si definisce tale partizione come “trinciato merlato”) sono però sostituiti da uno “scaccato”, che crea più o meno lo stesso effetto denotando però un disegno più originale.
Detto infine che quello donato dai Mazzini è l’unico esemplare oggi conosciuto con questo disegno, non resta che ammirare il vecchio vessillo tartuchino nella sua nuova collocazione dentro il complesso museale della Contrada.