Tommaso Pendola, il Poliedrico correttore tartuchino

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Una sala della adunanze gremita è solo un modesto riconoscimento rivolto ad un grande personaggio dell’Ottocento senese. Eppure grazie al prezioso contributo dei relatori, la figura di Tommaso Pendola, relegata comprensibilmente all’importante ruolo di educatore per sordi, è stata ricollocata al centro del panorama culturale, politico e religioso del periodo risorgimentale. 

Alla conferenza svoltasi sabato 9 novembre era presente anche il Presidente della Biblioteca degli Intronati, il Prof. Raffaele Ascheri che ha definito Tommaso Pendola «un uomo poliedrico, un campione del liberalismo cattolico che ha giocato un ruolo importante nella storia risorgimentale cristiana e laica». Ascheri ha ricordato che fu Bettino Ricasoli ad affidare a Padre Pendola il ruolo di Rettore dell’Università di Siena, un difficile compito svolto fra le mura di una città nella quale l’alfabetizzazione, a quel tempo, rimaneva ancora al di sotto della media.

Al prof. Marino Bennati il compito di ricostruire la figura dell’illustre benefattore dei sordi, in un’epoca in cui i non udenti erano considerati gli ultimi della società. Era la seconda metà dell’Ottocento e Pendola ricopriva la carica di Rettore del Convitto Tolomei; il sindaco Celso Bargagli Petrucci gli affidò tre giovani sordi. Furono i primi alunni di quell’Istituto che diverrà un punto di riferimento in Italia e nel mondo: i suoi sforzi sono ancora visibili nel museo dedicato alla scuola, che i partecipanti alla conferenza hanno potuto visitare grazie alla gentile concessione del Direttore dell’Asp, Monica Crociani. Per Tommaso Pendola i non udenti era persone meritevoli di ricevere un’educazione e si impegnò nella realizzazione di un percorso formativo mirato, al punto di organizzare a Milano il primo congresso nazionale per sordi. 

E quando gli fu proposta la veste cardinalizia, Padre Pendola rifiutò poiché non poteva accettare il trasferimento a Roma, o meglio, non poteva abbandonare i suoi alunni e la sua amata Siena.

Particolarmente interessante è stato l’intervento del Prof. Daniele Nuti che ha illustrato ai presenti i progressi fatti dalla medicina nella cura della sordità nel corso del XXI secolo. 

Dopo la morte del padre scolopio avvenuta nel 1883 l’allora sindaco di Siena Luciano Banchi decise di intitolare al correttore tartuchino quella che già era Via delle Murella, il cuore del nostro Rione. A ragion veduta, il rettore dei maggiorenti Giordano Barbarulli ha affermato che da quel momento in poi «Tommaso Pendola vuol dire Tartuca». 

TOMMASO PENDOLA: DOTTO E CARITATEVOLE

di Raffaele Ascheri

Ieri pomeriggio, pregevole iniziativa in tandem fra la biblioteca Comunale e la Tartuca, in memoria di una figura straordinaria della Siena ottocentesca: Tommaso Pendola, uomo di Chiesa (scolopio, per la precisione), uomo di cultura (docente per decenni all’Università, della quale divenne anche Rettore), caritatevole pedagogo, capace di creare a Siena un istituto per i sordomuti che a lui tutto, ab origine, deve; infine, anche uomo di Contrada – correttore per l’appunto della Tartuca -, capace al contempo di essere critico, a volte sferzante, contro certi comportamenti intracontradaioli. Oltre allo scrivente, a parlarne il dottor Daniele Nuti – per discettare della sordità al giorno d’oggi -, poi Giordano Barbarulli – a presentare la figura del Pendola correttore della Tartuca -, infine Marino Bennati, massimo conoscitore vivente della biografia dello scolopio.
Nella mia relazione, il tentativo di inserire Tommaso Pendola (1800-1883) nella Siena e soprattutto nell’Italia del XIX secolo; perché avevo saltato un elemento, di non poco conto: Pendola fu anche un patriota, cosa che – in un contesto in cui il Papa Pio IX a dir poco remava contro il processo risorgimentale, e vergava documenti come “Il sillabo”, roba che oggi nemmeno Orban scriverebbe, sic – è da tenere molto bene in conto, in quanto tutto fuorchè scontata.
Dopo simpatie mazziniane e pulsioni neoguelfistiche giobertiane, per Pendola il punto di riferimento assoluto divenne il fondatore (nel 1828) dell’Ordine dei rosminiani, quell’Antonio Rosmini considerato il filosofo di riferimento del liberalismo cattolico del Risorgimento (con due suoi libri inseriti, non a caso, nell’Indice del Sant’uffizio); la rosminiana etica del Diritto prevedeva la persona umana come il fine di tutta la speculazione filosofica, e l’attività educativa e pedagogica era alla base della prassi rosminiana: potevano forse non scattare le goethiane “affinità elettive”, fra i due, peraltro coevi (Rosmini era nato, a Rovereto, solo tre anni prima di Pendola, ma, a differenza di lui, non arrivò a vedere l’Italia unita, morendo nel 1855).
Il fil rouge che lega Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni (in Letteratura, ma anche nel dibattito religioso e culturale in senso lato) e, in modo certo più appartato, una figura come Tommaso Pendola (per fermarci a quota tre), è il filo rosso della più avanzata tradizione cultural-politica del Cattolicesimo italiano dell’Ottocento, capace di anticipare il filone progressista che sarebbe venuto nel cuore del XX secolo. Tre figure che, comunque la si pensi, hanno innervato concretamente la loro quotidianità di spirito evangelico, con un’aggiunta di spessore culturale di primo, primissimo livello.
A proposito, e per concludere (scusandomi di mettere bocca in casa d’altri, ma quando ci vuole, ci vuole): con la lista di beati che sono stati resi tali negli ultimi anni (mi sia concessa questa considerazione), come si fa a non pensare alla beatificazione di una figura come Tommaso Pendola, che l’Evangelo lo mise in pratica nella quotidianità?


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